16 ottobre 2011

Come quel giorno..

Oggi sto bene, oggi mi porto qualcosa dentro che mi dà carica, oggi ho voglia di provare emozioni, di sentire i brividi, di farmi battere forte forte il cuore, di respirare l'aria che mi accarezza, di vedere posti che mi sazino la vista e che mi facciano emozionare. E' uno di quei giorni in cui mi sento, mi voglio sentire, non mi faccio fuori, non mi annullo, non ho paura di quello che potrei provare facendo qualcosa solo per me, perchè mi piace, perchè mi va.
Oggi mi ricorda molto il primo giorno che ero in ospedale: avevo compreso a cosa stavo andando incontro, mi ero resa conto che ormai ero diventata come un treno in corsa che andava diretta verso la morte e nemmeno me ne rendevo conto o forse inconsciamente si, sicuramente. Dopo che passai la prima notte lì, la mattina dopo cominciai a pensare a tutto, ai giorni inizialmente pieni che l'anoressia mi tendeva su un piatto d'argento, la voglia di fare, di spaccare il mondo, la merea illusione di bastare a me stessa nel vero senso della parola: potevo tutto, potevo sempre, potevo e basta. In fondo non mi rendevo conto ancora che questa "felicità" altro non nascondeva la rabbia, la forza distruttiva che volevo urlare, l'ira che provavo verso mia madre che aveva osato un gesto che io tradussi in abbandono. Cominciò così, il 10 luglio del 2004, quando la trovai semi svenuta in camera per aver abusato di uno psicofarmaco, la trovai io, la trovavo sempre io, come se avessi un sesto senso nel salvarla, lei verso di me non lo ebbe, ma era inevitabile. Quel giorno non mangiai e nemmeno quello successivo, poi associai la rabbia verso di lei ad una sorta di indipendenza che non avevo mai avuto, che non mi era mai stata concessa, capii che avevo il diritto di avere i miei spazi, la mia camera la sentii più mia, capii che se non avevo voglia di mangiare potevo dire di no..o far finta di farlo. Avevo il diritto di mentire, di tenere un segreto solo per me, senza sentirmi in colpa se non lo raccontavo a lei come sin da piccola facevo. La rabbia era la mia giustificazione, il suo gesto me ne dava il pretesto: in fondo lei si era presa il diritto di morire, perchè io non mi potevo prendere il diritto di non mangiare? Era la stessa cosa, solo che in quel momento ancora non lo vedevo, accusavo lei di un gesto ingiusto nei miei confronti, ma io stavo facendo esattamente lo stesso. I primi tempi andarono così, con un equilibrio precario in casa, ma dentro di me sentivo che niente poteva scalfirmi, poi inevitabilmente tutto cominciò a crollare, i miei pensieri sempre più ossessivi, i miei digiuni altrettanto, mio padre ormai sapeva e quindi non dovevo nascondere più niente. Cominciai a spegnermi, ma la consapevolezza che dentro stavo morendo la tenevo ben nascosta, tra bugie dette a me stessa e la felicità di diventare sempre più invisibile. Non ho mai avuto il problema di ammetterlo, parlando se capitava lo dicevo e come non lo nascosi a mio padre, non lo feci nemmeno col mio ragazzo. Ma il vortice continuava, i problemi ovviamente cominciarono a farsi sentire, la debolezza anche. Il problema era che tiravo comunque avanti, la forza la trovavo, anche se ero stanca, ero stufa marcia di tutti quei pensieri, delle solite cose, degli orari che dovevo per forza rispettare altrimenti andavo in panico, una vita sociale pari a zero. Avevo paura di tutto, di uscire, di prendere la macchina, di alzarmi per fare la doccia, di qualsiasi cosa..il giorno passava così, la sera andavo a letto pensando "domani non mi alzo", le forze ormai erano andate. Poi un giorno mio padre mi portò da un dottore che odiai con tutta me stessa e non glielo nascosi, mentre mi visitava gli dissi cose cattive, ma doveva esserci abituato.. Il giorno dopo mi fece ricoverare d'urgenza nel reparto di psichiatria. La mattina successiva era come se all'improvviso tutto fosse chiaro, tutto, qualsiasi cosa, quella mattina e molte altre ancora ogni volta che alzavano le tapparelle e vedevo il sole, piangevo. Ero felice, ero contenta, ero entusiasta. Mi promisi di vivere sempre così, di non lasciarmi mai scappare niente, nessuna emozione, nessuna cosa da poter fare, di seguire ciò che mi diceva il cuore o qualsiasi altra particella di me. me lo promisi quel venerdì di febbraio del 2006...poi me ne dimenticai. Sicuramente un annetto passò, poi seguire il mio istinto, seguire la mia voglia di fare divenne sempre più sporadico, infine diventai normale, come tutti: mi spensi. Oggi non è stato così, oggi ho voluto vivermi tutto, ho voluto vedere la spiaggia di un'estate fantastica, della mia prima estate da nuova vita, ho sentito le emozioni e ci sono stata bene, le ho ritrovate e come quel giorno mi sono commossa nel vivermele. Ho ricordato che ho qualcosa dentro, che ho bisogno di emozioni per star bene, di una vita frenetica, di una vita tranquilla, di una vita felice, ma anche arrabbiata a volte, ho bisogno di correre o anche solo di stendermi sotto il sole, ho bisogno di agire o di prendermi il mio tempo, voglio dettare le regole, ma mi piace anche essere presa e accompagnata per mano, voglio sempre sentire qualcosa che mi esplode nel petto, che mi sappia sempre di nuovo, di fresco. Vorrei farcela, lo voglio.

4 commenti:

  1. @ Anonimo: se devi lasciare un commento, lascialo come si deve, altrimenti evita questi mezzi termini. Se entri qui per leggere e basta mi va bene, se leggi per poi commentare, almeno portami rispetto e scrivi, che siano cose positive o negative mi sta bene lo stesso, ma così non c'è niente di costruttivo.

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  2. volere è potere! può sembrare banale ma è così, il succo della questione e tutto qui. la nostra forza di volontà può spingerci verso orizzonti inimagginabili!

    ciao ciao

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  3. spero che questi attimi di felicità si presentino sempre di più...fino a far scomparire o a metter da parte il male dentro...sai...la vita è fatta di alti e bassi...e la cosa bella è che servono i bassi per poterti far tornare in alto...a volare a respirare o semplicemente a VIVERE...
    ciao ciao

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